Un film del passato, del presente e non del futuro..

“C’è ancora domani” è uno di quei film che sorprendono, divertono, commuovono ma soprattutto fanno riflettere. Siamo nella Roma del dopoguerra, i soldati americani regalano la cioccolata e gli italiani fanno fatica a riprendersi e ad arrivare a fine mese.

Delia è una mamma tuttofare, abita in un sottano con il marito autoritario e violento, i tre figli e il suocero.

Tra un lavoretto e l’altro cerca di tenere in piedi tutto, la casa, la famiglia, il rapporto malato con il marito violento, un amore platonico e i sogni di un domani migliore.

Possiamo dire che questo film parla di ieri, di oggi, parla di noi.

Uno schiaffo in faccia, comincia così il film. La mano che dà lo schiaffo è quella di Ivano, il marito violento che senza motivo le ricorda qual è il suo ruolo appena apre gli occhi.

Durante il film è impossibile non chiedersi “Sta parlando di noi?”.

Ad un certo punto, il suocero di Delia parla in privato con Ivano dicendogli che sbagliava a picchiarla e fin qui penso che tutti gli spettatori con fare incredulo davano ragione al suocero, per poi smentirsi pochi attimi dopo dicendo che doveva picchiarla una volta ma forte, facendo riferimento a come si comportava lui nei confronti della mamma di Ivano.

Delia è una brava donna ma ha un unico difetto, parla troppo. Parlare, esatto.

Una parola che fa paura, infastidisce ma è puro simbolo di libertà.

Lo dimostra Delia stessa che si riprende i suoi spazi e i suoi diritti.

Lo dice anche la canzone di Daniele Silvestri, A bocca chiusa:

“E non ho scudi per proteggermi né armi per difendermi

Né caschi per nascondermi o santi a cui rivolgermi

Ho solo questa lingua in bocca

E forse un mezzo sogno in tasca

E molti, molti errori brutti

Io però li pago tutti”

Nella canzone di Lucio Dalla “La sera dei miracoli”, il cantautore stesso rivelò che scrisse quella canzone in una delle prime notti della prime estati romane, dove si chiudeva la stagione degli anni di piombo, quelli vissuti con i sacchetti di sabbia vicino la finestra e cominciava un nuovo decennio carico di sogni e novità.

Questo film è un grande omaggio alla donna, all’amicizia femminile, al rapporto madre-figlia e a quei particolari che fanno la differenza.

Forse proprio per questo Paola Cortellesi ha scelto di dedicare questo film a sua figlia come possiamo vedere nei titoli di coda “A Lauretta”.

Promotrice di dibattiti sul ruolo della donna la Cortellesi, attrice e regista,  con questo capolavoro riporta l’attenzione sui grandi temi sociali  e sul ruolo della donna. Sono temi caldi, discorsi aperti, molto presenti anche in questo momento a seguito delle numerose segnalazioni di violenze, maltrattamenti e femminicidi i cui dati rimbalzano attraverso la cronaca.

Una immagine tratta dal film

Ruben Uzzi

5A SIA